LO SVILUPPO DEL
NEGATIVO (back)
Struttura della pellicola b/n.
FIG. 1
Supponiamo di tagliare con le forbici una pellicola b/n e di
osservare al microscopio il sottile spessore del taglio. L'immagine che ci
apparirà è qualcosa di simile alla fig. 1, nella quale possiamo osservare che
la pellicola ha una struttura stratificata. In alto compare un finissimo strato
protettivo, perfettamente trasparente. Al di sotto troviamo uno strato più
spesso, si tratta di gelatina, dentro la quale sono distribuiti
casualmente tanti piccoli granuli di una sostanza bianca: è un sale, il Cloruro
di Argento, la cui formula chimica è AgCl. E' questa la parte della
pellicola sensibile alla luce (fotosensibile), non grazie alla gelatina,
che fa semplicemente da collante per tenere uniti i granuli di Cloruro
d'Argento, ma grazie al sale d'Argento che è, lo possiamo dire a pieno titolo,
il protagonista numero uno della magia fotografica. Al di sotto ancora
troviamo la parte inerte della pellicola, uno strato di plastica sintetica, che
però consente alla pellicola di essere resistente e di poter essere fabbricata
in lunghi rotoli o in grandi lastre piane. E infine, sotto tutti gli altri,
troviamo il cosiddetto strato antiriflesso, creato affinché la luce che
attraversa la pellicola non subisca delle riflessioni fra i suoi strati
determinando così degli indesiderati aloni che sciuperebbero l'immagine
fotografica.
La pellicola, come tutti sanno, deve sempre essere trattata al
buio più completo, tranne nell'istante dello scatto, fintantoché non sarà stata
sviluppata e fissata. Solo allora potremo maneggiarla tranquillamente alla luce
ed osservarla in trasparenza.
Durante lo scatto.
FIG. 2
Che cosa succede durante lo scatto? Come sappiamo l'immagine, che
penetra nella macchina attraverso l'obiettivo e, grazie alla breve apertura
dell'otturatore, va a colpire la pellicola, è formata da parti più luminose e
parti più scure. In pratica possiamo dire che, durante il tempo di esposizione,
la pellicola non viene colpita uniformemente da una luce uguale in tutti i
punti. Al contrario, alcuni granuli di Cloruro d'Argento saranno colpiti da
molta luce, corrispondente alle parti più chiare dell'immagine, altri non
saranno colpiti affatto, in corrispondenza delle parti più scure dell'immagine.
Nella fig. 2 possiamo notare che degli otto granuli solo tre sono colpiti dalla
luce. Si dice che essi vengono impressionati.
In realtà ciò non fa nascere alcuna immagine visibile sulla
pellicola e, se noi estraessimo la pellicola dalla macchina, oltre a commettere
l'imperdonabile sbaglio di rovinarla del tutto, potremmo constatare che la
luce, impressionando la pellicola, non determina alcuna immagine visibile. Eppure
qualcosa è successo nei cristallini di AgCl, ma si tratta di qualcosa che
riguarda la loro struttura atomica e che non può essere osservata nemmeno col
microscopio elettronico. Si dice allora che, sulla pellicola impressionata,
esiste solo una immagine latente.
Il trattamento della pellicola.
Per far nascere una immagine visibile sulla pellicola e per
poterla successivamente ammirare ad occhio nudo, in piena luce, è necessario
sottoporre la pellicola ad un trattamento chimico, detto processo di sviluppo,
mediante sostanze liquide (bagni), suddiviso in diverse fasi:
1 - sviluppo
2 - arresto
3 - fissaggio
che sono le tre fasi fondamentali del processo di sviluppo, a cui
seguono necessariamente queste altre fasi secondarie:
4 - lavaggio
5 - trattamento antigoccia
6 - asciugatura
7 - archiviazione.
La pellicola non può assolutamente mai vedere la luce prima che
sia completata la fase 3, il fissaggio. Se questo accadesse, otterremmo una
pellicola completamente nera, come il carbone, senza traccia di immagini. In
tal caso si dice che la pellicola è bruciata.
Durante lo sviluppo.
FIG. 3
Che cosa succede durante lo sviluppo? La pellicola, al buio completo,
viene immersa nel bagno di sviluppo, ovverosia in un liquido detto rivelatore:
Esso agisce come mostrato in fig. 3. Quei granuli di AgCl che erano stati
colpiti dalla luce (attenzione: soltanto quelli!), subiscono una scissione: il
Cloro (Cl) si stacca dall'Argento (Ag). Nella pellicola, al posto di granuli
bianchi di Cloruro di Argento, rimangono granuli neri di semplice Argento; il
Cloro se ne è andato, sciogliendosi nel bagno.
E' necessario avere ben chiaro un concetto: questo fatto si
verifica solo per i granuli che avevano preso luce, quelli impressionati, che
adesso sono diventati neri. Gli altri, invece, non subiscono alcuna
trasformazione, in essi il Cloro rimane attaccato all'Argento, ed essi
rimangono lì, bianchi com'erano sempre stati.
E' chiaro che se una parte della pellicola è diventata nera,
mentre altre parti sono rimaste bianche, adesso esiste un'immagine visibile, ma
la pellicola è ancora fotosensibile e noi non dobbiamo esporla alla luce, se
non vogliamo che si bruci.
Durante l'arresto.
La fase successiva è l'arresto. In pratica la pellicola viene
trattata con un bagno di acido acetico diluito in acqua che arresta il processo
di sviluppo, ovverosia interrompe il fenomeno dell'annerimento delle parti che erano
state precedentemente colpite dalla luce. Questa fase è breve ed è seguita
immediatamente dal fissaggio.
Durante il fissaggio.
FIG. 4
Che cosa succede durante il fissaggio? In questa fase la pellicola
viene trattata con un bagno acido contenente alcuni sali di zolfo la cui azione
è quella di sciogliere i cristalli bianchi di Cloruro d'Argento che ancora si
trovavano nella pellicola, essi vengono letteralmente portati via e nella
pellicola rimangono solo i granuli neri di Argento. In questo modo si
neutralizza la fotosensibilità della pellicola. In pratica il bagno di
fissaggio si esegue proprio perché la pellicola perda ogni sensibilità alla
luce e diventi del tutto inerte. Ecco perché abbiamo detto che dopo il
fissaggio la pellicola può essere esposta alla luce, perché da quel momento in
poi essa non è più impressionabile e può essere tranquillamente guardata per la
valutare la qualità delle immagini presenti sui vari fotogrammi.
Adesso riassumiamo sinteticamente alcuni concetti fondamentali:
a - durante lo scatto non si forma
alcuna immagine visibile, si parla semplicemente di una immagine latente,
b - l'immagine visibile nasce
durante lo sviluppo, ma la pellicola è ancora sensibile alla luce, pertanto
deve rimanere rigorosamente al buio,
c - la pellicola perde la
fotosensibilità durante il bagno di fissaggio, dopo il quale può essere anche
esposta alla luce.
A questo punto la pellicola deve essere sottoposta ad un lavaggio,
per rimuovere da essa le sostanze chimiche del fissaggio. Il lavaggio si esegue
con semplice acqua corrente o, meglio ancora, con acqua distillata.
In seguito si tratta la pellicola con un liquido detto antigoccia,
il cui scopo è quello di evitare che, durante l'essiccazione, aderiscano alla
pellicola delle gocce d'acqua che, asciugandosi, potrebbero lasciare delle
macchie di calcare.
L'asciugatura si esegue stendendo la pellicola in luogo non umido,
nel quale sia assente la polvere. Infatti mentre la pellicola si asciuga la
gelatina è appiccicosa come una colla e i peluzzi dei vestiti o i bruscoli che
volteggiano negli ambienti polverosi possono aderire alla pellicola e rimanere
incollati ad essa, rovinandola completamente.
L'ultima fase è l'archiviazione. Il prodotto più importante del
lavoro fotografico è la pellicola sviluppata, non le stampe che da essa si
possono ricavare. Infatti se le stampe si sciupano per qualche motivo basterà
semplicemente rifarle, ma quando si sciupa il negativo l'immagine
fotografica è definitivamente perduta. In genere il profano e il
principiante tendono a considerare poco la pellicola e molto, al contrario, la
stampa. Spesso i negativi vengono perduti perché a nessuno importa di loro. Improvvisamente
diventano importanti quando la stampa si rovina o si smarrisce ma, ahimé, i
negativi non si trovano più, o sono ridotti in condizioni pietose, e non si
possono più riprodurre le immagini che essi conservavano. Ecco perché il
fotografo custodisce gelosamente tutti i negativi che ha scattato nella sua
vita, archiviandoli opportunamente in quei quaderni in cui la pellicola rimane:
1 - distesa su un piano e non arrotolata
su sé stessa,
2 - protetta dalla polvere,
3 - a contatto con la carta velina
trasparente e non con la plastica.
Ogni qual volta il fotografo maneggerà
la pellicola la toccherà, possibilmente, con guanti appositi che evitano il
contatto col grasso delle dita, senza mai mettere le dita sui fotogrammi ma
solo di taglio sui bordi della pellicola stessa, senza mai appoggiare la
pellicola di piatto sul tavolo, ma solo sulle pagine di carta velina del
quaderno. Egli non soffierà mai col proprio fiato sulla pellicola per rimuovere
la polvere, ma solo con l'apposita pompettina di gomma. Dovendo rimuovere
macchie e patacche dal negativo si limiterà a lavarlo con acqua distillata e
liquido antigoccia. Comportarsi diversamente da così significa essere dei
fotografi grezzi ed ignoranti che non sanno fare il proprio lavoro.
-La Camera oscura-
PERCHÉ STAMPARE DA SÉ IL B/N
Il fascino del bianconero, oltre alla bellezza intrinseca delle
immagini che fornisce, risiede nel fatto che il processo può essere realizzato interamente
in proprio, dallo scatto alla stampa finale, senza grosse difficoltà e a costi
tutto sommato contenuti. Lo stesso non può dirsi della stampa a colori, che
richiede un controllo fine delle variabili (temperature dei bagni chimici,
calibratura cromatica della luce...) anche solo per ottenere risultati appena
mediocri, e una spesa superiore al costo del trattamento eseguito dal
laboratorio.
Per lo sviluppo della
pellicola serve:
Utili ma non indispensabili:
SVILUPPIAMO IL NEGATIVO
PREPARAZIONE DEI BAGNI
Per prima cosa,
prepariamo i bagni. Utilizzando i misurini, prepariamo sia lo sviluppo che il fissaggio
alla diluizione prevista sulle rispettive istruzioni accluse. Di solito i
rivelatori in polvere vanno preparati ottenendo un litro di soluzione, mentre i
liquidi concentrati possono essere preparati nella quantità che ci serve. Una
volta preparati, bisogna portarli alla temperatura di lavoro, solitamente di 20 °C (e qui ci serve il termometro che
abbiamo comprato). Se sono più freddi, riscaldiamoli mettendoli in un
recipiente con acqua calda; se più caldi, mettiamoli per qualche minuto in
frigo o in surgelatore. È importante che almeno lo sviluppo sia a 20 °C, e il
fissaggio non sia troppo lontano dai 20 °C.
CARICAMENTO
Preparati i bagni
nella quantità che ci serve e messi ciascuno nella sua bottiglia (una bella
etichetta è raccomandabile), ci si prepara a caricare la pellicola sulla
spirale.:
Tagliamo la coda della
pellicola e arrotondiamone i bordi affinché non si inceppi nella spirale, facciamo
100% buio e carichiamo la pellicola sulla spirale. Tagliamo via il caricatore,
mettiamo la spirale nella tank, chiudiamo ben bene con il coperchio. A questo
punto possiamo accendere la luce, dato che la tank è a tenuta di luce anche
aprendo il tappo che serve per caricare i liquidi.
SVILUPPO
A questo punto
immettiamo il rivelatore, chiudiamo tutto, sbattiamo con decisione un paio di
volte la tank sul tavolo (operazione detta "dislodging" che serve per
eliminare eventuali bolle d'aria rimaste attaccate alla pellicola), e facciamo
partire il cronometro.
La prima volta ci
atterremo al tempo di sviluppo e alla modalità di agitazione riportate sulla
confezione di pellicola. Agitiamo quindi, rovesciando la tank, all'inizio (di
solito per 30 secondi), e poi secondo le modalità previste (di solito 10
secondi ogni minuto, o 5 secondi ogni 30 secondi): non importa come (almeno
all'inizio), ma ciò che importa è abituarsi ad usare lo stesso tipo di
agitazione per tutta la durata dello sviluppo.
ARRESTO
Una quindicina di
secondi prima dello scadere del tempo di sviluppo, svuotiamo la tank. Quindi
immettiamo la stessa quantità d'acqua (o di arresto), agitiamo per una ventina
di secondi e svuotiamo di nuovo.
FISSAGGIO
Immettiamo il
fissaggio e agitiamo come fatto per lo sviluppo. Per il fissaggio il controllo
dell'agitazione non è strettamente necessario, ma abituarsi a standardizzare la
procedura è forse la prima regola da seguire nel trattamento del B/N. Fissiamo
per il tempo consigliato sulla confezione della pellicola o del fissaggio
stesso. È sempre meglio "abbondare" nella durata del fissaggio,
piuttosto che "scarseggiare". Il fissaggio scioglie via la parte di
emulsione non sviluppata e rende "trasparente" la pellicola: un
cattivo fissaggio causa un deterioramento molto precoce dell'immagine nel
tempo.
LAVAGGIO
Serve per eliminare
ogni traccia di fissaggio dalla pellicola. Infatti anche il fissaggio, se resta
a contatto con l'emulsione, provoca un deterioramento dell'immagine con
formazione di macchie indelebili. Quindi va effettuato lasciando la tank aperta
sotto l'acqua corrente per un congruo tempo. Esiste una procedura indicata
negli opuscoli delle pellicole ILFORD, garantita per una conservazione "da
archivio", che consente un gran risparmio di acqua e di tempo. La
riassumo:
ASCIUGATURA
Terminata la fase di
lavaggio, se si lasciasse asciugare il negativo così ottenuto si formerebbero
macchie di calcare lasciate dalle gocce d'acqua che evaporano. Per evitare
questo esistono molte e controverse tecniche. L'ortodossia del B/N consiglia di
operare un ultimo bagno in acqua addizionata da un apposito prodotto chiamato
"imbibente" (le maggiori marche di prodotti per il B/N ce l'hanno in
listino), che non è altro che un tensioattivo; si può quindi sostituire con una
goccia di sapone neutro o di shampoo. Altri usano una miscela di acqua + alcool
(che tra l'altro rende più veloce l'asciugatura).
Fatto questo, nel modo
che preferite (per cominciare in economia si può usare il sapone neutro o lo
shampoo), si può aprire la spirale per liberare la pellicola prendendola per i
bordi o per la coda iniziale; questa va posta ad asciugare in una zona il più
possibile priva di polvere, in quanto ogni granellino che si attaccherà
all'emulsione resterà attaccato a perenne memoria, producendo sulle stampe dei
puntini bianchi. Il luogo ideale è il bagno, dove si può adattare un
appendi-panni in modo da poterci appendere la pinza. Se non si mette un peso
(l'apposita pinza piombata o un paio di pinze da bucato o qualunque cosa
pesante vi viene in mente) dall'altra parte, asciugandosi la pellicola tenderà
ad arrotolarsi, facendovi poi disperare ogni volta che la maneggerete.
Quando la pellicola è
completamente e perfettamente asciutta (non prima, dato che l'emulsione bagnata
è delicatissima), si può tagliare con le forbici in spezzoni da 6 fotogrammi
per essere riposta negli appositi raccoglitori. Esistono i "classici"
fogli di pergamino, molto economici e adatti alla conservazione ma scomodi per
la visione dei fotogrammi data la loro imperfetta trasparenza, e i
"moderni" fogli di materiale plastico (attenzione, evitare il PVC,
dannoso per la conservazione), perfettamente trasparenti ma un po' più costosi.
Terminato lo sviluppo
(facile, no?), non ci resta che ammirare in trasparenza il risultato dei nostri
sforzi in attesa di fare...I PROVINI A CONTATTO.
Accoppiata Pellicola-Rivelatore
Qui di seguito trovate delle combinazioni relative alle pellicole
ed agli sviluppi più frequentemente usati.Il consiglio è quello di utilizzare
,con l’esperienza, quella che soddisfa maggiormente e di utilizzare sempre la
stessa procedura.I dati qui riportati, rappresentano esperienze già effettuate
,che hanno dato ottimi risultati,in ogni caso è sempre consigliabile guardare
le combinazioni che si trovano in allegato ai singoli rivelatori.
pellicola |
@ |
sviluppo |
temperatura |
diluizione |
tempo |
100 ISO |
20 °C |
1+25 |
8' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+50 |
13' |
||
100 ISO |
21 °C |
1+2+100 |
13'30'' |
||
100 ISO |
20 °C |
stock (1+0) |
9' |
||
100 ISO |
22 °C |
1+9 |
6' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+1 |
13'30'' |
||
400 ISO |
32 °C |
1+100 |
15' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+25 |
7' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+50 |
11' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+100 |
32' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+15 |
4'45'' |
||
800 ISO |
20 °C |
1+25 |
10'30'' |
||
10 ISO |
20 °C |
1+50 |
9' |
||
[Efke 100] |
40 ISO |
20 °C |
1+50 |
9' |
|
100 ISO |
20 °C |
dil. B (1+31) |
5' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+1 |
9'30'' |
||
200 ISO |
20 °C |
1+50 |
13'30'' |
||
125 ISO |
20 °C |
1+1 |
12' |
||
125 ISO |
20 °C |
B |
6'30'' |
||
800 ISO |
20 °C |
1+25 |
10' |
||
80 ISO |
20 °C |
1+47 |
6'30'' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+25 |
8'30'' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+50 |
11' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+1 |
12' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+25 |
7' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+1 |
10' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+9 |
9' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+25 |
10' |
||
320 ISO |
20 °C |
stock (1+0) |
3'30'' |
||
320 ISO |
20 °C |
1+50 |
11' |
||
400 ISO |
29 °C |
1+31 |
7'15'' |
||
400 ISO |
22 °C |
1+1 |
9' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+1 |
10'30'' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+1 |
9'45'' |
||
400 ISO |
23 °C |
1+1 |
5' |
||
400 ISO |
23 °C |
1+1 |
5' |
||
640 ISO |
20 °C |
stock (1+0) |
7' |
||
1600 ISO |
20 °C |
stock (1+0) |
9' |
||
800 ISO |
18 °C |
1+15 |
4' |
||
1000 ISO |
20 °C |
1+25 |
5' |
||
1600 ISO |
20 °C |
1+25 |
5' |
||
1600 ISO |
20 °C |
1+50 |
9' |
||
1600 ISO |
20 °C |
1+15 |
4' |
||
1600 ISO |
22 °C |
stock (1+0) |
3'30'' |
||
1600 ISO |
20 °C |
1+4 |
5' |
||
1600 ISO |
23 °C |
1+10 |
5' |
||
3200 ISO |
20 °C |
stock (1+0) |
6'30'' |
||
32 ISO |
[SPUR HRX] |
20 °C |
1+19 |
5' |
|
50 ISO |
20 °C |
1+1 |
10' |
||
50 ISO |
22 °C |
Dil. B |
5' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+1 |
10'30'' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+3 |
20' |
||
100 ISO |
19 °C |
1+4 |
2' |
||
50 ISO |
22 °C |
1+1 |
6'30'' |
||
64 ISO |
20 °C |
B |
6' |
||
100 ISO |
23 °C |
1+1 |
3' |
||
120 ISO |
20 °C |
1+2+100 |
10' |
||
125 ISO |
20 °C |
1+50 |
15' |
||
125 ISO |
20 °C |
stock (1+0) |
7'30'' |
||
125 ISO |
20 °C |
1+14 |
9'30'' |
||
125 ISO |
24 °C |
1+9 |
5' |
||
125 ISO |
21 °C |
1+3 |
13' |
||
200 ISO |
20 °C |
1+1 |
10' |
||
250 ISO |
20 °C |
1+1 |
9'30'' |
||
200 ISO |
20 °C |
1+9 |
6' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+1+8 |
11' |
||
400 ISO |
20 °C |
stock (1+0) |
7'30'' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+9 |
7' |
||
800 ISO |
20 °C |
1+25 |
8'30'' |
||
3200 ISO |
20 °C |
1+10 |
10' |
||
3200 ISO |
24 °C |
stock (1+0) |
9' |
||
25 ISO |
20 °C |
1+300 |
30' |
||
40 ISO |
21 °C |
1/2 flacone per 300
ml di sol. |
10' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+75 |
17'30'' |
||
100 ISO |
28 °C |
1+3 |
10' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+1 |
9' |
||
125 ISO |
20 °C |
1+1 |
10' |
||
80 ISO |
23 °C |
6+12+600 |
11' |
||
100 ISO |
21 °C |
1+5 |
24' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+25 |
5'30'' |
||
100 ISO |
18 °C |
1+14 |
20' |
||
100 ISO |
24 °C |
1+4 |
7' |
||
125 ISO |
24 °C |
|
10' |
||
200 ISO |
28 °C |
1+3 |
8' |
||
400 ISO |
24 °C |
1+3 |
12' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+25 |
5' |
||
400 ISO |
28 °C |
1+3 |
9' |
||
1600 ISO |
23.5 °C |
1+3 |
17'30'' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+1 |
9'30'' |
||
800 ISO |
20 °C |
1+1 |
10' |
||
800 ISO |
20 °C |
1+4 |
7' |
||
1600 ISO |
24 °C |
1+3 |
19' |
||
100 ISO |
20 °C |
1+1 |
7'30'' |
||
200 ISO |
20 °C |
B |
5'30'' |
||
200 ISO |
20 °C |
1+2 |
8'45'' |
||
320 ISO |
20 °C |
1+1 |
8' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+25 |
7' |
||
400 ISO |
21 °C |
1+25 |
6'15'' |
||
400 ISO |
24 °C |
1+1 |
7'30'' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+1 |
10'30'' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+1 |
10' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+4 |
6' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+2 |
10' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+2 |
12'30'' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+1 |
6' |
||
640 ISO |
20 °C |
1+50 |
15'30'' |
||
800 ISO |
20 °C |
1+1 |
14'30'' |
||
1600 ISO |
21 °C |
1+4 |
10'30'' |
||
1600 ISO |
20 °C |
1+1 |
10' |
||
250 ISO |
20 °C |
1+1 |
8'15'' |
||
320 ISO |
20 °C |
1+24 |
6' |
||
320 ISO |
21 °C |
12+20+1000 |
14' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+1 |
7' |
||
400 ISO |
20 °C |
1+31 |
3'45'' |
||
1600 ISO |
20 °C |
1+1 |
16' |
||
1600 ISO |
22 °C |
1+1 |
6' |
||
1600 ISO |
22 °C |
1+1 |
6'30'' |
||
3200 ISO |
20 °C |
1+25 |
8' |
I PROVINI A CONTATTO
Cosa sono? Sono la stampa a grandezza naturale (24x36mm nel caso
del piccolo formato) degli spezzoni di negativo su un unico foglio di carta.
Sono molto utili per avere un'idea del risultato finale di una eventuale stampa,
molto difficile da valutare direttamente sul negativo.
Si ottengono
disponendo le strisce di pellicola su un foglio di carta B/N (a stretto
contatto emulsione contro emulsione) ed esponendo il tutto alla luce per un
certo tempo. A rigore, quindi, l'ingranditore non serve, ma supporremo di
averlo per usarlo come fonte di luce.
COSA SERVE
PREPARAZIONE
DEI BAGNI
Si preparano esattamente come quelli per il trattamento della
pellicola, alle diluizioni previste sulle rispettive confezioni.
A rigore la temperatura ottimale dei bagni sarebbe di 20 °C, ma per lo sviluppo
della carta non è necessaria una grossa precisione. Diciamo che uno scostamento
di 3-4 °C non influisce sui risultati in maniera apprezzabile.
Poniamo il rivelatore in una bacinella (e sempre in quella) e il fissaggio in
un'altra (e sempre in quella). Nel mezzo poniamo un'altra bacinella per il
bagno d'arresto, acqua o arresto vero e proprio che sia.
È bene che la disposizione sia nell'ordine: rivelatore, arresto, fissaggio, in
modo da non confonderci, dato che alla luce di sicurezza la visibilità non è
ottimale (ad esempio, alla luce rossa la bacinella bianca e quella rossa sono
praticamente indistinguibili).
L'INGRANDITORE
In linea di principio
è un oggetto abbastanza semplice: non è altro che una specie di proiettore che
serve a proiettare il negativo sul piano di stampa; Una rapida occhiata ai
pochi elementi che lo compongono ci permetteranno di familiarizzare con questo
strumento ed eventualmente di essere in grado di scegliere quello che fa per
noi.
LA
TESTA
È la parte principale
(e costruttivamente più complessa) dell'ingranditore. Nella testa si trovano la
lampada e i vari dispositivi che permettono di creare un fascio luminoso il più
possibile uniforme. A seconda del tipo di illuminazione usata, esistono
ingranditori a "luce diffusa" (la luce che investe il negativo passa
prima attraverso un vetro diffusore che la rende morbida e uniforme) e a
"luce condensata" (la luce che investe il negativo passa prima
attraverso un gruppo ottico che la rende fortemente direzionale e a raggi
paralleli). la luce diffusa è morbida, riduce il contrasto e minimizza i
difetti del negativo (= eventuali graffi, polvere e pelucchi, ma anche la
grana); la luce condensata è dura, esalta i contrasti e la nitidezza ed
evidenzia la grana (ma anche i graffi!).
Per chi inizia non credo
che la differenza sia importante: ci basti per ora sapere che ci sono due modi
diversi di illuminare il negativo da stampare, ed entrambi forniscono buoni
risultati.
Solitamente la testa è
provvista di un cassettino che può ospitare appositi filtri atti a modificare
il colore della luce dell'ingranditore. Storicamente nasce per consentire la
stampa a colori e/o delle diapositive, ma è tornato di grande utilità per la
stampa con carte a contrasto variabile: infatti il contrasto può essere variato
attraverso l'uso di appositi filtri (si trovano in commercio di diverse marche)
da porre nel cassettino. Altre teste hanno invece la possibilità di modificare
il colore agendo su appositi filtri incorporati nel sistema di illuminazione
stesso.
La testa ospita anche
il porta-negativi (che alloggia il negativo da stampare, tenendolo piano e
parallelo al piano di stampa), che può essere delle fogge più diverse, con o
senza vetrini, esclusivamente per il formato 24x36mm o adattabile a diversi
formati, ecc.
Sotto troviamo l'obiettivo, solitamente avvitato su una piastra intercambiabile
fissata su un soffietto che serve per la messa a fuoco; infatti l'obiettivo non
ha ghiera di messa a fuoco, ma solo quella dei diaframmi. Anche per gli
obiettivi si può scegliere tra varie marche (l'attacco a vite 39x1 è uno
standard quasi per tutti) e tra vari livelli di prezzo.
LA COLONNA
Dovendo sostenere la
testa (spesso abbastanza pesante), è bene che la colonna sia sufficientemente
robusta e rigida e di sezione sufficientemente grande. In alcuni modelli essa e
dotata di cremagliera dentata su cui ingrana la testa per poter essere
sollevata e abbassata facilmente agendo su una manovella; altre volte questo
movimento è ottenuto con un meccanismo a frizione. Negli ingranditori usati questo
movimento va sempre controllato attentamente, perché è forse l'elemento più
soggetto ad usura.
A volte sulla colonna
è presente una scala metrica che indica l'altezza della testa sul piano di
stampa (in cm, in pollici e spesso anche in fattore di ingrandimento). Avremo
modo di apprezzare in seguito l'utilità di questo riferimento.
IL PIANO DI STAMPA
Di solito in legno,
sostiene l'insieme testa-colonna. Deve essere sufficientemente pesante (il peso
favorisce la stabilità del tutto) e ampio. Qualora non lo fosse, si può sempre
sovrapporre un piano aggiuntivo di legno laccato bianco, o al limite anche
sostituirlo.
ACCESSORI
Come sempre, non sono
indispensabili, ma aiutano e facilitano durante la fase di stampa.
Abbiamo tutto l'occorrente, ci siamo trovati un posticino
tranquillo in casa (spesso è il bagno, a volte uno sgabuzzino o la cantina),
dove è possibile avere il buio totale: possiamo iniziare!
Dato che abbiamo già stampato
i provini a contatto, supponiamo di avere i bagni (sviluppo, eventuale arresto,
fissaggio) già pronti nella quantità necessaria (1-2 litri a seconda della
grandezza delle nostre bacinelle) e nella diluizione prescritta sulle relative
etichette, posti nelle relative bacinelle nel solito ordine. Facciamo il buio,
accendiamo la luce di sicurezza.
POSIZIONAMENTO DEL NEGATIVO
Poniamo il nostro
primo fotogramma nel porta-negativi facendo in modo che l'uno e l'altro siano
il più possibile privi di polvere e pelucchi. Come? L'ideale sarebbe avere
l'apposito panno antistatico, in alternativa possiamo spolverare con un
pennellino morbido (niente male quelli da trucco);
Accendiamo
l'ingranditore, posizioniamo la testa in modo da avere l'ingrandimento desiderato,
valutandolo sul marginatore o, in sua assenza, su un foglio di carta su cui
possiamo disegnare rettangoli dei formati di carta che usiamo più spesso.
Mettiamo a fuoco con l'obiettivo a tutta apertura (servendoci del focometro, se
l'abbiamo). 1 mm).
TEMPO DI ESPOSIZIONE E CONTRASTO
La stampa è
l'operazione con cui si "fotografa" il negativo su un altro negativo
(la carta da stampa). Come ogni altra fotografia, dovremo quindi determinare
(esattamente come per il provino a contatto) la corretta esposizione.
In più stavolta
abbiamo anche l'onere di determinare la giusta gradazione di contrasto della
carta. Infatti, mentre nella stampa dei provini ci "accontentiamo" di
non avere neri e bianchi puri, a vantaggio della registrazione del maggior
numero di dettagli possibile (e anche per riuscire a visionare anche fotogrammi
eventualmente sovra-sottoesposti in maniera marcata), nella stampa finale si
deve di solito avere tutta la scala tonale, dal massimo bianco al massimo nero.
Ci sono ovviamente le
solite eccezioni, ma anche in questo caso confermano la regola.
Quindi, in linea
generale, un negativo poco contrastato avrà una scala di toni molto
"corta" (la differenza di densità fra la minima e la massima è poca),
e quindi c'è bisogno di una carta a contrasto elevato, che
"amplifichi" la scala tonale del negativo. Viceversa, un negativo
molto contrastato avrà una scala di toni molto "estesa" (la
differenza fra la minima e la massima densità è elevata), per cui c'è bisogno
di una carta a basso contrasto, capace di "contenere" tutte le
densità del negativo.
Sembrerebbe a prima vista impossibile determinare correttamente il giusto tempo
di esposizione e il giusto grado di contrasto della carta: infatti ad una
stessa esposizione corrispondono diversi toni di grigio al variare del
contrasto e, parallelamente, per un dato grado di contrasto della carta
l'annerimento varia col tempo di esposizione.
La tecnica qui esposta, messa a punto da A. Adams, consente di scindere i due
problemi. Essa nasce da una constatazione: l'esposizione delle alte luci con
dettaglio (zone più dense del negativo), non varia al variare della gradazione
di contrasto. In soldoni, se per una data gradazione di carta (es. la 2)
troviamo che le alte luci con dettaglio sono ben riprodotte con un'esposizione
di 10 secondi, una carta di diversa gradazione (es. la 3, purché della stessa
marca e tipo!) esposta per gli stessi 10 secondi fornirà alteluci con dettaglio
analogamente ben riprodotte.
LA GIUSTA ESPOSIZIONE
Come prima cosa si
determina quindi la corretta esposizione. In genere si opera "a priorità
di diaframma": si chiude il diaframma di un paio di valori (diciamo
attorno a f/8), in modo da operare alla miglior resa dell'obiettivo, e si deve
quindi determinare il giusto tempo di esposizione.
Dobbiamo fare un "provino
scalare" e utilizzeremo inizialmente una striscia di carta di medio
contrasto (es. la 2). Si sceglie una zona del fotogramma che contenga alte luci
(e possibilmente anche ombre) con dettaglio; si pone il filtro rosso dell'ingranditore
sotto l'obiettivo e si pone una striscia di carta di dimensioni opportune sul
piano di stampa, in corrispondenza della zona scelta. Si spegne l'ingranditore,
si toglie il filtro rosso, si copre la striscia di carta con il solito
cartoncino nero, si avvia il nostro conta-secondi, si accende l'ingranditore e
si scopre una porzione di striscia ogni "tot" secondi (esempio:
5-10-15-20-25-30 secondi). Quindi si sviluppa-arresta-fissa-lava come per i
provini a contatto.
Osserviamo il provino:
se siamo stati fortunati, ci sarà un settore che reputiamo correttamente
esposto, vale a dire un settore dove troviamo alte luci bianche con dettagli
appena percettibili. In caso contrario dovremo ripetere la procedura con tempi
maggiori o minori nel modo che ormai sappiamo. Supponiamo che il settore
"buono" sia quello con esposizione di 20 secondi. Considereremo
questo come tempo base, ed esporremo un intero foglio di carta di quel
contrasto con quel tempo di esposizione, e lo svilupperemo come al solito.
IL GIUSTO CONTRASTO
Osserviamo ora la
stampa (detta anche "stampa di lavoro"). Possono aversi 3 casi:
Naturalmente potremo
anche risparmiare un po' di carta utilizzando come "stampa di lavoro"
un mezzo foglio di carta che contenga comunque elementi significativi
dell'immagine; stabiliti i giusti parametri, li useremo per ottenere la stampa "buona".
Le prime volte, però, è forse il caso di "sprecare" un po' di carta
in più per familiarizzare con il suo comportamento al variare del tempo di
esposizione e del contrasto.
Con questa procedura dovremmo arrivare finalmente a determinare il giusto tempo
di esposizione (è possibile che l'analisi del contrasto consigli dei piccoli
ritocchi anche sul tempo di esposizione) e il giusto grado di contrasto, in
modo da arrivare ad un risultato che il nostro occhio giudicherà soddisfacente.
L'uso di carte a contrasto variabile consente un controllo molto fine sul
contrasto sia con i filtri in gelatina (esistenti con passi di 1/2 grado da 00
a 5) sia soprattutto con le teste a colori, che consentono variazioni di
contrasto anche minime agendo sui filtri incorporati.
Una volta ottenuta la
stampa che ci piace, questa va ben fissata e lavata in acqua corrente per il
tempo indicato nel foglietto accluso al pacco di carta e posta ad asciugare,
come già detto per il provino a contatto.